Overblog
Edit post Segui questo blog Administration + Create my blog

Le crepe di Ordolandia

Di
Caoslandia è una carta di Limes, pubblicata a inizio 2016.

Caoslandia è una carta di Limes, pubblicata a inizio 2016.

La rappresentazione artistica, realizzata da Laura Canali, raffigura il cuore pulsante dei conflitti (nell’ordine delle decine), del terrorismo e della dissoluzione istituzionale. L’Italia, parte dell’altro mondo, Ordolandia, si ritrova appena sopra la frontiera del caos, quindi è uno dei paesi più esposti. Viviamo nell’ordine, ma stiamo sull’abisso del caos. Nel numero di Limes di fine 2016, Lucio Caracciolo ha scritto che all’invenzione del nome Ordolandia si può imputare “un accesso di ottimismo”. È una grande verità, perché il tema del nostro tempo sono le crepe di Ordolandia, le faglie di conflitti e dissoluzione che attraversano il mondo che consideriamo sicuro, la cui sicurezza non è scontata. Questo cambiamento impone un risveglio: l’ordine potrà continuare a esistere solo se avremo vera consapevolezza della sua precarietà. Peraltro noi italiani, sospesi tra Ordolandia e Caoslandia, crediamo nell’ordine e vogliamo vivere nell’ordine: le forze dell’ordine, infatti, registrano ancora una fiducia straordinaria. Stando ai dati del rapporto Demos, gli italiani hanno fiducia nel Papa, nelle forze dell’ordine e nella scuola. Tutto il resto è avvolto dalla sfiducia.

Una delle grandi crepe di Ordolandia è la divisione. Re Lear di William Shakespeare è, tra l’altro, un’opera sulla divisione di un Occidente ancestrale. Fin dall’inizio gli alti dignitari della corte riconoscono il gesto del sovrano da cui parte tutto: la divisione del regno. C’è divisione tra i padri e i figli, tra i figli cosiddetti “legittimi” e gli altri. C’è divisione tra gli eredi, che può diventare una guerra di cui approfittano le potenze straniere. E c’è una divisione che il sovrano, una volta perso il suo potere, può guardare in faccia: tra chi ha sopra di sé un tetto per proteggerlo e chi non ha nulla e deve subire gli schiaffi della tempesta. La divisione è una tragedia. Non si ricompone e alla fine restano solo pochi uomini feriti, che devono rammendare loro malgrado lo Stato, senza pensare nemmeno di essere in grado di farlo. L’immagine iniziale della divisione era quella di una mappa ben curata, che riproduceva alla perfezione i confini del regno, le risorse, le ricchezze. Ora quei confini hanno cambiato colore, sono diventati crepe profonde. Come se la mappa grondasse sangue. Gli eredi rimasti sul palco sono quelli a cui tocca governare, alla fine, ma sono eredi delle macerie.

In una recente intervista, lo scrittore Emmanuel Carrère ha ripreso il suo reportage su Calais, e sul modo con cui gli abitanti di quella città hanno reagito alla presenza dei migranti. Racconta che non esiste una reazione univoca, ma c’è invece una profonda spaccatura tra il mondo l’accoglienza e il mondo del rifiuto. I due mondi non si parlano e non prendono nemmeno in considerazione di giungere a una posizione comune. Carrère commenta: “Questa divisione totale della società è secondo me un problema crescente di oggi. Tra poche settimane uscirà in Francia un mio reportage sulla Turchia: anche a Istanbul ho ritrovato la medesima feroce spaccatura. La stessa che divide i repubblicani e i democratici in Usa. Siamo talmente divisi, il dialogo tra chi non la pensa allo stesso modo è diventato praticamente impossibile, sembra che le persone vivano in pianeti diversi. Lo trovo spaventoso”.

La divisione per la comunità politica ha alcuni tratti fisiologici. Per esempio, il compito di un partito è essere parte, non tutto. Ma in molti paesi occidentali assistiamo a un fenomeno di ben altra gradazione. Le persone non sono iscritte a partiti diversi, non fanno esperienze di vita diverse. No: gli uomini dello stesso Stato abitano in pianeti diversi. Tra loro c’è un abisso. Sono totalmente estranei. Non sanno nulla delle reciproche abitudini, idee, esperienze, passioni. Possono solo ignorarsi o insultarsi a vicenda. Uno dei libri più intelligenti sulla società americana degli ultimi anni, Coming Apart, pubblicato da Charles Murray nel 2012, coglieva questo punto analizzando le divisioni dell’America bianca: le persone che abitano nelle zone più ricche (i SuperZIP, che potremmo tradurre in SuperCAP) vivono una esistenza totalmente differente, dall’istruzione, al cibo, alla salute, al matrimonio, alla sicurezza e così via, rispetto a chi sta nelle fasce basse.

Ora, non dobbiamo raccontarci bugie nostalgiche e sostenere che le divisioni siano un’invenzione recente. Ma oggi queste fratture sono la Caoslandia che è dentro di noi: le entità politiche abitate da persone che si sentono reciprocamente estranee non possono funzionare, non possono tenere. A house divided cannot stand. Le conseguenze politiche e sociali di questa reciproca ignoranza, e delle “bolle” in cui viviamo gli uni rispetto agli altri (che nella rete sono echo chambers, come ha spiegato Cass Sunstein), saranno sempre più evidenti. Potrebbero portare a soluzioni di maniera, in cui le classi dirigenti decidono per convenienza di aggirarsi nei luoghi dimenticati e negli spazi dimenticati come “turisti”, con la cultura della compassione di cui parlava Christopher Lasch. Così è troppo facile. Le nostre vite sono veramente più povere se ci insultiamo a vicenda, se le diverse generazioni non hanno luoghi in cui imparare reciprocamente perché il passato va cancellato, se quello che succede al Sud non riguarda profondamente, non appassiona davvero le vite di chi comanda a Milano, così come coinvolgeva e agitava l’esistenza e la passione politica dei giganti della nostra storia nati a Morbegno. O ci crediamo veramente, o ci limitiamo a recitare e tanto vale certificare la separazione dei pianeti in cui viviamo e provare a tirare a campare.   

Quindi, un “Erasmus nel territorio” non potrà bastare a sanare le crepe di Ordolandia: negli spazi della politica occorre una consapevolezza vera del dramma della povertà, dell’esclusione, dello spopolamento di ampie zone dell’Italia, dello sfilacciamento della comunità. Occorre un’etica della verità sugli strumenti possibili per affrontare la divisione, in modo creativo. E servono anche gli stessi spazi della politica. Dopo un breve periodo in cui l’indebolimento dei partiti e la disintermediazione sono stati salutati come un processo innovativo e inevitabile, sarà sempre più evidente che la democrazia senza partiti è un’illusione pericolosa, essa stessa una crepa di Ordolandia, e che senza spirito di comunità le nostre politiche pubbliche rischiano di essere povere, cieche, inutili. La reciproca indifferenza è il peso morto della nostra storia.  

 

 

SCARICA ARTICOLO IN PDF

Pubblicato da : Alessandro Aresu, rightslider

Condividi post

Repost0