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Il Ponte e Masaniello

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(Foto da bizjournal.it)

(Foto da bizjournal.it)

A Genova sulla vicenda del Ponte Morandi si misura lo scarto tra rivoluzione e demagogia.

Le immagini sono ancora nitide nella testa di tutti. All’indomani del crollo gli argomenti degli esponenti del governo, soprattutto di quelli pentastellati, ma non solo, cercano di capitalizzare la tragedia in termini politici. Lo schema è chiaro. Il sistema Autostrade fa parte dell’establishment, il PD è il partito dell’establishment, quindi, la responsabilità morale dell’accaduto è del PD.

Va detto che sul fronte opposto, settori del PD e della stampa, si erano prodotti in una maldestra manovra per associare l’accaduto alla mancata realizzazione della gronda ma il tentativo era sfociato nell’irrilevanza politica e propagandistica.

La campagna di fine estate prosegue con un battage serrato incoraggiato dai fischi ai funerali, rivolti agli esponenti Dem presenti.

Il Ministro Toninelli, che emerge in questa vicenda in tutta la sua insipienza, dà voce nel modo più estremo a questa impostazione.

Prima di proporre un “ponte come luogo di aggregazione”, si è prodotto in dichiarazioni assertive nelle quali garantisce l’estromissione di ASPI dalla ricostruzione. Ne sa qualcosa Fincantieri che si ritrova dal mese di settembre sulle pagine dei giornali indicata come realizzatrice della ricostruzione.

Non si capisce come, per altro. Senza gara? Con un’assegnazione diretta? Non è dato saperlo.

Particolari secondari per gli esponenti del governo impegnati in una disputa interna alla maggioranza dal sapore spiccatamente ideologico, sulla nazionalizzazione di Autostrade.

Se non ad una discussione da socialismo reale sembra almeno di assistere al dibattito che accompagnò la nascita del primo centrosinistra sulla centralità del pubblico e la lotta ai monopoli.

Ma è solo una recita, come i fatti si sono incaricati di chiarire in queste settimane. Nella legge di bilancio non c’è traccia di risorse per acquisizioni pubbliche, viceversa sono previste 13 miliardi di euro di privatizzazioni.

Il decreto viene licenziato con molto ritardo il 28 settembre. Ed è praticamente un foglio bianco. Mancano le misure per far fronte al problema degli sfollati, sono insufficienti quelle per le imprese e il Porto, è irrisolto il problema di chi e come si ricostruirà il ponte.

Nulla è detto sulla questione della titolarità delle concessioni. Dopo più di due mesi di campagna contro i monopoli privati, il decreto evita accuratamente di affrontare la questione.

Il passaggio parlamentare arricchisce obbiettivamente, anche grazie alla pressione dell’opposizione e delle forze sociali genovesi, il decreto che finalmente affronta il tema delle risorse per le emergenze.

Ma nulla è detto per quanto riguarda la prospettiva. A partire dalla questione della ricostruzione che è sostanzialmente rinviata. Infatti, il decreto stanzia le risorse per la ricostruzione, risorse che dovrebbero poi essere reintegrate dal risarcimento dei danni da parte di ASPI.

Nulla è detto sul come. La situazione, su questo punto, peggiora con il passaggio parlamentare, perché ad ASPI si consegna l’obbligo della demolizione.

Si è partiti, quindi, dalle minacce di revoca e di nazionalizzazione delle autostrade per arrivare al consolidamento, di fatto, del ruolo di concessionario di ASPI.

 In caso di contenzioso, infatti, sarà difficile spiegare perché ad un soggetto a cui si contesta la titolarità della concessione contemporaneamente si assegna il ruolo di “demolitore” di ciò che resta del ponte.

In compenso il decreto, sempre più cosiddetto Genova, viene infarcito di norme che nulla hanno a che vedere con il ponte.

Un condono edilizio per Ischia, dopo una visita del vicepremier sull’isola e uno per le zone colpite dal terremoto nell’Italia centrale.

E ancora una norma che prevede l’aumento del limite consentito dalla legge per la terra utilizzata in agricoltura contaminata da idrocarburi.

Norme che sarebbero state insostenibili, di fronte al parlamento e all’opinione pubblica senza lo “scudo” dell’emergenza genovese.

Quello che doveva essere il manifesto del cambiamento, lo strumento per mettere ai margini le famigerate lobby, si è trasformato in una capitolazione verso ASPI e al contempo nel veicolo per particolarismi interessi di natura ancora più ignobile, in quanto legati all’illegalità di quelli indicati come bersaglio nella campagna di Settembre.

Viene alla mente la figura di Tommaso D’Amalfi detto Masaniello che, secondo una certa tradizione storica, posto al potere dal popolo napoletano in rivolta nel 1647, dopo aver guidato la sollevazione contro i privilegi dei nobili, inebriato dai costumi e dagli agi della corte spagnola fini per diventarne l’involontario strumento ed il presupposto per la restaurazione aristocratica.

Forse è un segno che nella follia, di cui questa tradizione parla, e che avrebbe colpito il capopopolo negli ultimi giorni della sua vita, emerge il progetto di un ponte per collegare Napoli con la Spagna.

Pubblicato da : Andrea Orlando, front

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