Il percorso della Regione Emilia-Romagna per conseguire maggiori spazi di autonomia e competenze legislative e amministrative rinforzate per le politiche territoriali nell’ambito del meccanismo previsto con l’art. 116, comma III, della Cost.
Il tema della richiesta di maggiore autonomia è di sempre crescente attualità, in particolare alla luce delle dichiarate intenzioni della maggioranza parlamentare e del governo in carica di fornire la più pronta risposta alle iniziative adottate nella scorsa legislatura dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, in una logica di condivisione trasversale degli obiettivi, pur nella marcata differenza delle originarie posizioni politiche.
Quello che ci si pone davanti è uno scenario di inedita importanza, anche solo considerando che dopo le iniziative delle tre regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna) che sono tra le più importanti per l’intero sistema produttivo nazionale, sono stati intrapresi percorsi analoghi da numerose altre regioni, alcune delle quali hanno già a loro volta attivato i primi confronti preliminari con il Governo. È bene evidente dunque che si tratta di percorsi che, ove adeguatamente condivisi e sostenuti, possono effettivamente contribuire al rilancio delle politiche territoriali grazie all’introduzione di politiche volte al tendenziale superamento della frammentazione fra centro e periferia, in uno Stato che, malgrado la riforma costituzionale del 2001 si fosse dichiaratamente posta l’obiettivo del potenziamento dei sistemi regionali e locali delle autonomie, stenta tutt’ora a trovare un suo equilibrio stabile. Come Regioni, riteniamo, non da ora, che tale percorso non sia più dilazionabile nel tempo.
All’indomani dell’insediamento del nuovo esecutivo nazionale e della dichiarata volontà, più volte ribadita, di riaprire rapidamente le sedi (tecniche e politiche) di negoziazione con le Regioni interessate, partendo, ovviamente, dalle tre Regioni firmatarie dell’Accordo preliminare quadro del 28 febbraio 2018 (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna) la Giunta dell’Emilia-Romagna ha aggiornato i propri indirizzi politici riformulando, alla luce del nuovo contesto la propria iniziativa formale.
Tale iniziativa, così arricchita da nuovi indirizzi e nuove proposte su politiche territoriali di primaria rilevanza strategica, è stata formalizzata attraverso diversi passaggi nelle sedi formali, come la Giunta, l’Assemblea legislativa ma anche attraverso la discussione e il confronto e la concertazione con tutti i soggetti firmatari del Patto per il lavoro della Regione Emilia-Romagna.
Quelli appena enunciati, sono passaggi politici a cui la Giunta stessa ha dato forte valore, in coerenza con il “metodo partecipativo” utilizzato sin dall’avvio di questo progetto. Tale scelta iniziale ha previsto la sistematica condivisione, da una parte, con tutte le forze politiche che compongono l’Assemblea Legislativa regionale e dall’altra, con tutte le forze economiche e sociali che rappresentano l’ossatura fondamentale della Regione.
E’ proprio sulla scorta di tali momenti di condivisione, che il Presidente Bonaccini ha incontrato il Ministro per gli affari regionali e le autonomie Erika Stefani, per dare nuovamente avvio alla fase di riapertura del negoziato con il nuovo Governo.
A tal fine, la Giunta ha formalmente nominato una delegazione a cui è stato affidato il compito di coadiuvare il Presidente nei vari passaggi da svolgersi nell’ambito del tavolo negoziale con il Governo.
L’iniziativa aggiornata dell’Emilia-Romagna verte su alcuni aspetti di particolare rilievo con riferimento particolare all’introduzione di nuovi strumenti dedicati alla rigenerazione urbana ed alle politiche attive del lavoro, alla formazione scolastica superiore, alla politica agricola comunitaria, all’ambiente oltreché sul tema, di fortissima attualità, delle infrastrutture per la mobilità. Al di là dei gravissimi accadimenti delle scorse settimane, il tema dell’infrastrutturazione territoriale risulta determinante anche per un territorio, come quello dell’Emilia-Romagna crocevia delle più importanti infrastrutture strategiche nazionali.
Quelli indicati sono sicuramente tutti obiettivi non secondari che potranno realizzarsi con strumenti, anche innovativi, che dovranno garantire, da un lato, il potenziamento delle politiche territoriali, senza erigere confini fittizi tra territori a discapito dello sviluppo dei sistemi produttivi e che, dall’altro, dovranno tenere in equilibrio tutte le aree del territorio nazionale, nella più convinta garanzia dell’unità giuridica ed economica della nazione. Si tratterà perciò di realizzare politiche di differenziazione su base territoriale, di valorizzazione delle diverse vocazioni territoriali, ma finalizzate non solo a garantire i territori che già offrono le migliori esperienze di governo. L’obiettivo che la Giunta ha assunto è quello di sviluppare dinamiche competitive trainanti dell’intero sistema produttivo italiano.
Questa è la visione di fondo sostenuta dalla Regione Emilia-Romagna sin dal primissimo atto di avvio del percorso nell’agosto 2017 e su cui è stato unanime il consenso tanto del sistema delle autonomie locali e delle sue rappresentanze, quanto delle categorie imprenditoriali e sociali.
Corollario di questo principio fondante è l’impostazione adottata con riguardo ai principi finanziari tale per cui, ferma restando, la necessaria corrispondenza fra le nuove ulteriori funzioni e le corrispondenti risorse, si è inteso sin dall’inizio salvaguardare i principi di perequazione e solidarietà espressi dall’art. 119 della Costituzione. In ragione di ciò, la Regione Emilia-Romagna ha scelto di non ragionare in termini di pretesa dei residui fiscali generati dal suo territorio e di rivendicazione di una loro quota più o meno ampia, bensì di determinare preventivamente il costo di esercizio delle nuove funzioni da assumere, per poi ragionare di concerto con il Governo sulle modalità di finanziamento delle medesime. Anche da questo punto di vista il percorso potrà finalmente completare la transizione verso l’attuazione di un vero e proprio federalismo fiscale da attuarsi anche attraverso il superamento del criterio della spesa storica e delle sue implicazioni più negative per gli equilibri di finanza pubblica.
E’ ovvio che la scelta caratterizzante l’iniziativa della Regione Emilia-Romagna è stata quella del metodo di condivisione, fortemente determinata dalla già fortissima integrazione dei livelli istituzionali regionali e dall’utilizzo di un metodo sistematico di interlocuzione con tutte le forze economiche e sociali.
Corollario di questa scelta è stata la decisione di non consultare direttamente la popolazione mediante referendum, alla ricerca di un consenso necessariamente di massima sulla richiesta di una maggiore autonomia, ma piuttosto di condividere, sin nel loro dettaglio, proposte puntuali attraverso sedi di interlocuzione appositamente convocate.
Di qui la preziosa funzione del confronto, tuttora in corso, con i soggetti firmatari del c.d. Patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna e con le istituzioni territoriali nell’ambito della Conferenza interistituzionale per l’integrazione territoriale, delle assemblee regionali di ANCI, Upi e nelle varie Assemblee dei Sindaci delle diverse province.
Mi preme infine valorizzare alcuni profili di fondo che abbiamo voluto porre a base della nostra proposta di differenziazione.
Una proposta che si fonda in primo luogo sulla volontà di conseguire l’incremento degli strumenti per le politiche territoriali, ma nella convinzione che si possa e si debba tenere in equilibrio la differenziazione territoriale con i principi cardine dell’unità giuridica dell’ordinamento, della coesione territoriale intesa come garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni in termini omogenei su tutto il territorio nazionale e della salvaguardia dei meccanismi di perequazione e di cooperazione finanziaria interregionale.
Proprio il rilievo conferito a tali principi nello sviluppo della nostra iniziativa costituisce la più efficace garanzia che gli incrementi di competenze, che conseguiranno dal riconoscimento alla Regione di ulteriori spazi di autonomia, non si traducano in una sorta di centralismo regionale, ma costituiranno invece la premessa per rafforzare il ruolo essenziale degli enti locali nella duplice veste di attori coprotagonisti delle decisioni strategiche e destinatari di ulteriori attribuzioni funzionali di prossimità, in piena attuazione dei valori della sussidiarietà e dell’adeguatezza.
In questa direzione e nella consapevolezza che inevitabilmente simili processi richiederanno pieno e adeguato sostegno sia ordinamentale che finanziario, assumono, particolare rilevanza le richieste avanzate in tema di governance istituzionale e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Sotto il profilo della governance istituzionale la nostra proposta intende valorizzare appieno competenze legislative e amministrative differenziate volte a consentire la realizzazione di innovativi modelli di esercizio concreto delle funzioni amministrative locali, a partire proprio da quelle di prossimità. Questo dovrà consentire, secondo una visione aggiornata del portato dell’art. 118, della Costituzione, anche una diversa allocazione delle funzioni amministrative in ragione delle effettive esigenze del territorio. Non abbiamo voluto in alcun modo fare una rivendicazione di competenze sull’ordinamento locale nei confronti dello Stato ma vogliamo porre le condizioni per Regioni e autonomie locali in grado di sviluppare pienamente la loro missione, completando in tal modo, un lungo processo orientato alla valorizzazione delle autonomie.
In buona sostanza occorre, infine, fornire alle regioni leve di distribuzione interna al sistema territoriale di tipo verticale e orizzontale che consentano anche di liberare risorse finanziarie a sostegno degli investimenti, nella cornice di un tetto di spesa regionale unico. Si tratta, in fondo, di riconoscere un meccanismo che la Regione e i suoi enti locali hanno già sperimentato con profitto in via ordinaria, con il Patto di stabilità della Regione Emilia-Romagna.