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DAL PIEMONTE UN PO’ DI ARIA FRESCA

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foto di Francesca Cappa

foto di Francesca Cappa

Il voto per l’elezione del segretario piemontese del Partito Democratico dice alcune cose chiare.

  • La prima, quella negativa, riguarda l’ulteriore contrazione del corpo elettorale: circa 13 mila i votanti, non la catastrofe ma neppure una seppur piccola scintilla di ripresa.
     
  • La seconda, positiva, è il buonissimo risultato del giovane candidato Paolo Furia, assolutamente non previsto da quasi tutti gli osservatori politici locali, che davano per certa la vittoria di larga misura del candidato “renziano” e senatore di lungo corso, Mauro Marino.
  • La terza, non meno significativa, è la buona prova di Monica Canalis, candidata espressione di una cultura cattolica democratica che in Piemonte ha solide e lunghe radici.

Il risultato è lampante: Marino 41,75%, Furia 35,52%, Canalis 22,73%. Partito per stravincere con almeno il 70%, il candidato “veterano” si ferma molto al di sotto della soglia necessaria per incoronarsi. Mentre i due candidati “giovani”, 31 anni Furia e 38 Canalis, superano il 58% ed evidenziano una domanda di rinnovamento significativamente maggioritaria tra gli elettori democratici.

E’ vero che tra Furia e Canalis ci sono significative differenze di cultura e proposta politica. Ma in un contesto nel quale lo “stato maggiore” dell’ultraortodossia renziana ha provato a giocare sul Piemonte la carta del proprio dominio, il segnale di rigetto, seppur arrivato da due direzioni distinte, è giunto forte e chiaro, e sarà difficile non tenerne conto.

Difficile è anche non sottolineare due aspetti solo apparentemente paradossali di questa vicenda. Nell’ansia di piantare una bandierina di controllo sul partito piemontese, il cuore del “giglio magico” si è mangiato uno dei suoi principali miti fondativi: il rinnovamento radicale dei gruppi dirigenti. E’ successo così che i protagonisti di una stagione connotata dalla baldanza della “rottamazione” hanno finito per arroccarsi intorno alla candidatura di un senatore alla sua quinta legislatura, candidato in deroga alle regole statutarie dopo aver vicepresieduto la commissione d’inchiesta sulle banche.

Un arrocco che, oltre a dar conto del disorientamento che si vive da quelle parti, evidentemente non ha pagato. Non meno paradossale è il flop che le donne e gli uomini più vicini a Renzi hanno dovuto registrare su un tema ampiamente, e strumentalmente, utilizzato durante la campagna congressuale: quello dell’essere loro i soli e più autentici interpreti del progetto originario del Partito Democratico, e del ruolo costitutivo in esso rappresentato dalla cultura cattolica democratica.

Argomento giocato in particolare contro Paolo Furia, con scarso fondamento essendo stati non pochi i dirigenti e gli elettori di cultura cattolica che lo hanno sostenuto e votato. E clamorosamente smentito dall’inatteso risultato di Monica Canalis, che alla fine proprio da quel serbatoio di cultura politica ha tratto il suo lusinghiero risultato.

Volendo trovare una sintesi, necessariamente schematica, di quanto è successo, potremmo dire che il clamoroso insuccesso della candidatura renziana è legato sia alla “sanzione” che la maggioranza degli elettori democratici piemontesi ha voluto comminare a una proposta chiaramente motivata dall’intenzione di conservare lo status quo e il nucleo di potere formatosi nella precedente stagione politica, sia alla frattura determinatasi tra una parte non secondaria del mondo democratico legato alle radici della cultura cattolica e un renzismo oltranzista, da molti ormai percepito come generatore di un pragmatismo a-valoriale, solo finalizzato a mantenere il controllo di quel che resta dell’organizzazione e delle rappresentanze istituzionali.

Naturalmente, questa fotografia non deve nascondere quanto ancora sia debole e solo alle prime fasi del cantiere, un progetto del tutto nuovo.

Nello stesso Piemonte, è pur significativo che il flop di Marino, clamoroso se rapportato alle attese della vigilia, lo porti comunque in testa tra i tre candidati. Il che, considerato l’impressionante schieramento di parlamentari, consiglieri regionali, sindaci piemontesi che si sono schierati e candidati a suo favore, non meraviglia. Il disegno dettato da Roma era preciso: un candidato, Marino, già conosciuto, messo sul tavolo poco prima della scadenza dei termini e imposto con un richiamo all’ordine delle riottose truppe periferiche, tempi ridottissimi per il confronto, in modo da impedire quanto più possibile l’espansione delle proposte alternative, molto meno note, soprattutto a Torino, dove si concentra il numero di gran lunga più alto dei votanti.

Qualche risultato era logico arrivasse. Ma il crollo delle aspettative della vigilia resta evidente e macroscopico, soprattutto nella metropoli torinese: dove la sconfitta è cocente ed evidenzia non solo tutte le potenzialità di Paolo Furia, che “vince fuori casa”, ma anche il drammatico crollo di credibilità politica di un intero pezzo del gruppo dirigente che ha guidato il partito in questi anni.

Crollo che non deriva, evidentemente, dalle qualità delle persone, e certo non solo da quelle, ma dai limiti di un’azione politica connotata dalla persistente afasia nei confronti delle domande della società e dei ceti popolari piemontesi e da una simmetrica verbosa e persistente guerriglia interna, rispetto alla quale i giovani Furia e Canalis sono stati percepiti come i portatori di un sonoro “ora basta”.

 

C’è infine un ultimo aspetto, non meno significativo, che va sottolineato a proposito di Paolo Furia. Paolo è un giovane ricercatore precario dell’Università di Torino, si è laureato brillantemente con una tesi in filosofia e svolge la sua attività, abbinandola a una passione politica precocissima. E’ stato coordinatore regionale dei GD, e poi giovanissimo segretario della federazione del Pd di Biella. La sua stessa connotazione esistenziale fa di lui un diretto interprete della condizione di molti giovani italiani, capaci, competenti e costretti al precariato. La propaganda renziana della fase ascendente, insieme alla virulenza del concetto di “rottamazione” ha fondato su questa tipologia di giovani, portatori di merito e competenze, una parte importante del proprio corpus ideologico.

La mozione di Marino per queste primarie era zeppa di riferimenti al merito e alla necessità di premiare i giovani meritevoli. Noi, un giovane meritevole e intenzionato a mettersi al servizio di un progetto per il rilancio della sinistra piemontese lo abbiamo candidato. Il renzismo della fase discendente ha fatto il possibile per contrastarne il cammino, schierando tutto l’apparato disponibile. Quando la crisi di un gruppo dirigente arriva a un così paradossale livello di perdita dello stesso senso di sé, è salutare per la sopravvivenza della comunità voltare pagina.

Citando il Renzi della Leopolda: “grazie, ma anche basta”.

Pubblicato da : daniele borioli, middle

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