Desidero innanzitutto ringraziare la Fondazione Italianieuropei, che è stata un soggetto importante del dibattito politico di questi vent'anni, e ha anche inaugurato in qualche modo una modalità di organizzare il dibattito e la politica che non esisteva nel nostro Paese.
Parto da una considerazione. Non sarei troppo drastico e tranchant nel giudizio sul pur precario e deteriorato Stato dell'Unione Europea, perché credo che anche questo modello così contorto e così pieno di contraddizioni stia mostrando, nonostante tutto una certa resilienza al quadro internazionale. Oggi stiamo vivendo per la prima volta una fase nella quale la costruzione europea non è sostenuta da grandi attori globali. Il cambio di orientamento dell'amministrazione americana ha rotto un meccanismo che ha spinto avanti la costruzione europea nel corso del dopo guerra. Quindi, prima di liquidare in modo assertivo le cose che in qualche modo ancora oggi stanno avvenendo, sarei più problematico, più articolato senza nasconderci i problemi enormi che gravano sul percorso di integrazione e sull'attuale condizione dell'Unione Europea. Il punto è questo: come è possibile continuare ad essere europeisti nonostante le condizioni dell'Unione Europea? e anche: come è possibile continuare ad essere socialisti europei nonostante le condizioni del Partito del socialismo europeo?
Molti insistono su porre l'accento sull'emergere dei limiti della costruzione europea a partire dal 2008, dalla vicenda greca, la difficoltà a reagire a quello shock, e se non in termini di rigore, è sicuramente un dato reale. Però questa analisi rischia di nascondere un po' il prima e il dopo di quel passaggio, e quindi di non darci un quadro completo dei limiti ontologici di quella costruzione, anche degli errori politici che sono stati compiuti successivamente.
I trattati e l'atto unico, il combinato con Maastricht hanno definito una costituzione materiale soprattutto sul terreno dei rapporti socio economici molto più arretrato rispetto alle costituzioni socialmente orientate che vigevano e vigono nei paesi fondatori. Basta guardare la giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, per esempio sui temi dei rapporti di lavoro. La strutturazione del mercato del lavoro è avvenuta anche grazie alla spinta esterna che si è venuta a determinare sulla base di quella Costituzione che nei fatti si era introdotta a livello europeo. Così potremmo dire sulle privatizzazioni e così potremmo dire in fondo sul modello che veniva proposto e che preesisteva al 2008, ma che nel 2008 è esploso. C’era una concezione alle spalle, che vedeva nei cittadini europei prevalentemente dei consumatori o degli imprenditori ma non dei lavoratori. E in fondo, c'era una cancellazione del ruolo della funzione dei corpi intermedi, per cui io sarei attento a distinguere tra liberismo e pensiero liberale, poiché credo, che quel liberismo forse è anche la conseguenza di un'impostazione liberale che ha prevalso e di un'incapacità delle forze che in qualche modo si ponevano fuori da quella tradizione di avere un punto di vista critico. E questo molto prima del 2008.
Poi c'è un dopo, nel quale molte cose potevano essere fatte e non sono state fatte. Lo strumento della cooperazione rafforzata è stato utilizzato in alcuni campi con successo e con dei risultati che vanno rivendicati sul fronte ambientale. L' Europa è stata comunque il punto di riferimento delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici nel mondo e può continuare ad esserlo oggi. A proposito, io credo che una discussione seria su che cosa vuol dire, per esempio, dar corso agli accordi di Parigi la dovremmo fare. Perché, quando si ipotizza di ridurre le emissioni al 2030 e al 2050 di azzerarle, stiamo dicendo che le nostre vite saranno totalmente diverse da quelle che viviamo oggi, ma questo ragionamento non lo sta facendo nessuno. Sembra che sia una cosa che riguardi qualcun altro. Si tratta di organizzare le filiere, si tratta di discutere su come si fa il trasporto, come le stesse cose che si producono oggi, possono essere prodotte diversamente. E forse questa davvero è una vera discussione tanto importante quanto le altre discussioni che stiamo facendo. Ma così, con la cooperazione rafforzata o anche attraverso i meccanismi tortuosi delle decisioni all'unanimità dell'Unione europea si sono fatti dei passi avanti su alcuni campi, non se ne sono fatti su altri e ne cito due: noi potevamo nel corso di questi anni nei quali montava il nazionalismo rispondere alla domanda di sicurezza e anche alla domanda di protezione rafforzando, per usare una vecchia nomenclatura, un po' la toga è un po' la spada a livello europeo. Spada, sia detto, si farà, ma al momento siamo ancora agli annunci. La toga, siamo partiti con una procura europea che per Lisbona doveva affrontare anche terrorismo e criminalità organizzata, ma che per il momento è e non può che essere un primo passo. La barocca costruzione che è stata realizzata per il momento si occupa esclusivamente di frodi contro l'unione comunitaria.
Su questo terreno c'è un tema che va affrontato subito, perché mentre non si fa una cooperazione giudiziaria strutturata e quindi non si costruisce un sistema di guida giurisdizionale delle indagini, in verità i servizi segreti e le forze di polizia creano delle forme di cooperazione molto forti. Noi rischiamo in qualche modo, e sono molti gli elementi che sono stati introdotti con la legislazione antiterrorismo, di introdurre delle forme di Stato di polizia a livello europeo non sorvegliate da un soggetto giurisdizionale.
Ho citato questi due casi, perché questi due casi sono due casi nei quali il partito socialista sistematicamente ha avuto posizioni tra loro in netto contrasto. A capo delle forze ostili alla procura europea c'erano i socialisti, a capo delle forze che guidavano la costruzione della procura europea c'erano i socialisti e la stessa cosa possiamo dire sul sistema della difesa europea.
Allora io credo che noi ci dovremmo interrogare sì su quali sono le buone idee, ma ci si dovrebbe interrogare anche su quali sono le forze e i motori che le possono fare affermare. E in questo senso io credo che non possiamo non dichiarare che siamo di fronte all'esigenza di una rifondazione del campo progressista, che si deve aprire alle forze della nuova sinistra che deve porre la questione della riunificazione delle due sfere che sono nate e cresciute sotto lo stesso ombrello, ma non si parlano all'indomani della seconda guerra mondiale, mi riferisco all'Unione Europea e al Consiglio d'Europa. Il Consiglio d' Europa ancora oggi è il principale elemento di evoluzione positiva degli ordinamenti giuridici, pensate al nostro Paese. Il nostro Paese non avrebbe introdotto il reato di tortura, le unioni civili, le misure sul carcere, non avrebbe affrontato temi spinosissimi come quello del fine vita, se non ci fosse stato lo stimolo della giurisdizione internazionale e di Strasburgo, ma quella cosa non c'entra niente contrariamente a quello che si dice con l'Unione europea. La corte dell'Unione europea si occupa soltanto di mercati. Mettere queste due cose insieme sarebbe già un obiettivo per costruire davvero un compiuto Stato di diritto all'interno del nostro continente. Invece non ci si accorge, che quella stessa giurisdizione della Corte dei Diritti dell’Uomo è messa in discussione dagli stessi Paesi che vi aderiscono ed è contestata apertamente dalla Russia, che si sta chiamando fuori, ma le sentenze non sono applicate dalla Gran Bretagna e persino la Francia ha sospeso per sei mesi l'attuazione della Carta europea dei diritti dell'uomo.
Ma le idee ci sono, sono le forze in campo per realizzarla che mancano. Perché io credo che nella piattaforma dei socialisti europei, che è stata presentata anche alla vigilia delle elezioni del 2013, ci fosse tutto. Il ruolo delle banche, come affrontare il tema della disoccupazione a livello europeo, la questione degli investimenti, c'era tutto. Ma quali sono le forze politiche che sostengono questo processo? Io non ho la risposta, ma una domanda la porrei: siamo sicuri, col massimo rispetto, che candidare un componente dell'attuale Commissione europea alla guida della Commissione europea del futuro, sia la risposta migliore attraverso la quale segnare una discontinuità e allargare il campo dei socialisti europei? Io penso francamente di no.
E lo dico anche sottolineando come il mio partito che ha indicato questa proposta l'abbia fatto in un modo pressoché burocratico. Non con una discussione che legasse quella candidatura a una piattaforma, la sottoponesse alle forze sociali, ne discutesse nella società italiana. Rivendichiamo questa nuova forma di candidatura diretta come il presupposto fondamentale per politicizzare lo schema europeo e rafforzare la democrazia europea e poi si fa un comunicato stampa e si dice che c'è la candidatura di Timmermans. Che francamente non rappresenta a mio avviso, questa fase nuova che in qualche modo si deve aprire e che guardi alle altre forze della sinistra, nate in questi anni. Che guardi alle forze ambientaliste non come un altro soggetto esterno, ma come un possibile alleato.
Naturalmente se si dice questo, bisogna anche dire con molta chiarezza e sono molto d'accordo con le cose che dice Goffredo Bettini, che soltanto degli alchimisti astratti possono pensare che si possa costruire un fronte europeista a prescindere dalle famiglie di appartenenza e dei punti di partenza. Il fronte repubblicano o il fronte europeista è solo il modo migliore attraverso il quale far vincere i populisti e farli sfondare su tutta la linea.
Io credo che ci sia un tema sul quale è evidente il paradosso europeo. Non si può affrontare questo tema, senza l'Europa ma l'Europa non riesce a risolverlo ed è un dossier che in questi cinque anni ha galleggiato sui Consigli europei. E' il dossier che riguarda la protezione dei dati personali. La protezione dei dati personali riguarda una miriade di interessi. Arriva a tre triliardi di euro. Un patrimonio che si è accumulato grazie alle infrastrutture pubbliche, sulle quali non si paga un euro di tasse. Ciò non costituisce più soltanto un problema economico, costituisce un problema democratico, riguarda l'orientamento dell'opinione pubblica e l'orientamento dei consumatori. Eppure sono cinque anni che l' Unione europea discute di questo dossier senza riuscire ad arrivare a una conclusione.
Ma non c'è un altro tavolo nel quale se ne potrebbe discutere, ma le regole decisionali che ci sono non sono in grado di dare una risposta compiuta, anzi, sono un problema anche le forze in campo, perché nella stessa Europa ci sono Paesi che sostengono una totale deregolamentazione, perché hanno le sedi delle piattaforme della Rete in casa. E poi penso alla Polonia e a Paesi, che hanno provato a fare una legislazione come la Germania, ma si sono resi conto che da soli non riescono a incidere sufficientemente. Cito questo caso, perché è un caso che è totalmente assente dal dibattito politico, e io credo sia la più grande questione democratica che stiamo affrontando in questo momento.
In questo momento non c'è il rischio dei militari e non c'è il Panopticon, il controllo dei cittadini. I cittadini si fanno controllare da soli, perché si mettono sulla rete tutti i giorni, dicendo dove vanno, cosa fanno. E quei dati sono utilizzati per la manipolazione dei nostri comportamenti. Che cosa c'è di più capitale ed essenziale di questo.
Non ho anche in questo caso una risposta semplice, ma in questa domanda che pone questo tema, io credo che ci sono molte delle questioni dalle quali siamo partiti nella discussione di quest'oggi. E che cosa devono fare i socialisti in questo momento, se non provare a difendersi da una minaccia per la libertà come quella che può essere realizzata anche da uno sviluppo incontrollato delle tecnologie. Se ripartissimo dai temi, io credo, potremmo delimitare un campo e in quella delimitazione del campo dovremmo prendere atto che gli strumenti che offre il mercato europeo o nazionale non sono sufficienti. Torna ad essere necessaria una presenza pubblica, nella guida di questi processi, non è un caso che le uniche risposte un minimo convincenti riguardano la proprietà di quelle piattaforme.
E' l'idea di una affermazione piena di un individualismo liberale che ha coinvolto e che ha guidato anche le nostre scelte e non ieri o l'altro ieri, ma da almeno vent'anni. Io penso che se partiamo da questa discussione forse possiamo delineare questo campo, perché anche quando si parla di sostenibilità, e concludo, dobbiamo renderci conto che la sostenibilità si realizza soltanto attraverso un'altra parola che è stata bandita dal nostro dibattito e dal nostro vocabolario che è la parola programmazione. Ma che noi possiamo pensare che con degli incentivi e dei disincentivi possiamo ottenere gli obiettivi che ci siamo dati con Parigi. I cinesi sono quelli che in questo momento stanno facendo un ribaltamento totale delle politiche hanno definito la strada con la quale nel 2030 arriveranno agli obiettivi di Parigi. Naturalmente non è che io pensi di proporre quel meccanismo, per ovvie ragioni, ma è del tutto evidente che non è possibile pensare che quegli obiettivi si possano raggiungere attraverso meccanismi di mercato di incentivazione e disincentivazione. Ecco perché io penso che questa è una discussione da fare davvero con occhi nuovi e senza ideologia, perché temi come il controllo dei dati o quello della sostenibilità riportano al centro la questione della regia pubblica, non perché siamo nostalgici di un tempo lontano ma perché è questo tempo nuovo che ce lo impone.