Zingaretti vince anche in Toscana tra gli iscritti, con un vantaggio di 6 punti percentuali su Martina. Diciamoci la verità: è un risultato che nessuno si aspettava. La Toscana è il luogo dove è nato il movimento di Matteo Renzi, il luogo delle "Stazioni Leopolde". Da Firenze è partito il cammino entusiasmante, e per alcuni anni indiscutibilmente vincente, di un leader in grado di parlare con il Paese tutto e di rinnovare il sistema politico italiano attraverso un percorso istituzionale sempre rispettoso della Costituzione.
Mi sento di fare queste affermazioni, per onestà intellettuale, riconoscendo il ruolo indiscutibile di leader che Matteo Renzi ha avuto negli ultimi anni, nel nostro partito e nel governo.
Parto da questo assunto proprio per spiegare il mio punto di vista e la mia decisione di aderire convintamente in questo congresso alla mozione Zingaretti.
E ciò può avere un certo interesse, suppongo, perché io sono tra coloro che ha condiviso fin dall'inizio quel percorso molto coinvolgente, prima da assessore al Comune di Firenze con Renzi sindaco, poi da parlamentare e da vicepresidente del Senato nella scorsa legislatura e da deputato nella attuale. Sarebbe a mio parere ingeneroso ed ingiusto non riconoscere infatti il grande impegno riformista che si è concretizzato in 4 anni di lavoro appassionante, condiviso da tanti, e che ha consentito all'Italia di uscire dalla crisi ottenendo nuova fiducia dall'Europa.
Ma stare al Governo è molto complicato e l'entusiasmo per "il fare" ha fatto sì che si trascurassero troppi aspetti connessi alla condivisione delle strategie e delle successive scelte normative. Sarebbe stato molto utile un partito forte, un partito che svolgesse il proprio ruolo, che veicolasse, interpretasse e raccogliesse gli umori in Parlamento, nei gruppi Pd, e nel paese, nei circoli tra gli iscritti. Tutto questo è mancato.
Si è ritenuto che la sede delle decisioni potesse essere all' interno di un gruppo ristretto di persone, si è considerato l'opposizione interna un fastidio e così ci si è allontanati dal paese reale. A ciò va aggiunta una gestione non ottimale della comunicazione interna ed esterna, che ci ha fatto percepire come estranei o lontani dalle sofferenze del Paese e di quelle fasce, sempre più ampie, della popolazione, che evidentemente non stavano godendo i frutti della ripresa in atto. Non era vero, evidentemente, ma è apparso così.
I primi segnali di difficoltà sono arrivati con le amministrative, a partire proprio dalla Toscana, frutto anche di candidature non azzeccate e guerre territoriali. Era un campanello d'allarme che avremmo dovuto subito ascoltare ed invece si è preferito minimizzare. Intanto il partito si divideva in fazioni sempre più agguerrite le une contro le altre, ed il fatto che tante amministrazioni comunali nel giro di pochi anni cambiassero colore ha provocato uno shock tra gli iscritti. Insomma: il nuovo corso rappresentato dal giovane ex sindaco di Firenze, energico e innovatore, non stava funzionando più. Una presa di coscienza dolorosa, anche fra coloro che avevano già avvertito il cambiamento di clima nel paese.
E poi è successo tutto ciò che sappiamo a livello nazionale. La sconfitta al referendum e le dimissioni di Renzi da segretario, la ulteriore grave sconfitta elettorale alle politiche e, a seguire, ancora la perdita di importanti città in Toscana, quali Livorno, Pisa, Pistoia, Carrara, Arezzo, Siena, Grosseto, Massa. Ciò ha via via determinato un diverso orientamento tra molti degli iscritti toscani che appartenevano all'attuale maggioranza del partito. Si è avvertita la necessità di guardare oltre un'esperienza che era stata tanto penalizzata dagli elettori, sia a livello nazionale che locale.
La domanda era: perché abbiamo perso tanto e dappertutto? È sembrato che da parte del gruppo dirigente non ci fosse la consapevolezza della necessità di fare una valutazione degli errori fatti nel pur brillante percorso riformista messo in atto negli ultimi anni.
Non ci si è fermati ad analizzare bene le cause delle pesanti sconfitte e così negli anni, poco alla volta, un'intera classe dirigente è stata messa in discussione. Ed era abbastanza logico, quindi, che si dovessero cercare soluzioni alternative nel Partito nel segno della discontinuità.
Cosa abbiamo sbagliato? Probabilmente nella gestione delle priorità: nel paese era rimasto nonostante tutti gli sforzi fatti troppo disagio e troppa povertà. Erano troppe le famiglie in difficoltà. Troppi i giovani senza lavoro e senza prospettiva, nonostante la nostra riforma del mercato del lavoro, il milione di posti di lavoro creati e gli investimenti nelle imprese per supportarle nella crescita che avrebbe prodotto nuovo lavoro. Potevamo avere ragione, ma non ha funzionato! Bisognava prenderne atto e cercare strade alternative. Noi invece avevamo scegliemmo di governare in solitudine, nella convinzione che tutti avrebbero capito prima o poi che avevamo ragione. Invece non è andata così. Avremmo dovuto ascoltare prima coloro che volevano interloquire con noi. Un grave errore è stato, ad esempio, non condividere il percorso di crescita con i corpi intermedi, con le categorie economiche, con i soggetti coinvolti nel cammino riformista che avevamo intrapreso.
Per questo l'azione di governo è rimasta staccata dal paese e gli elettori non si sono sentiti protetti e curati da noi. Atteggiamenti di eccessiva sicurezza, una certa incapacità di mettersi in discussione e un cammino che dai più, all'interno e all'esterno del partito (che ha anche subito la scissione) sono apparsi non più condivisibili.
Tutto ciò ha fatto sì che la fiducia nella classe dirigente venisse poco alla volta a cadere. Gli altri leader del partito hanno avvertito il pericolo di dissolvimento, unito alla difficoltà ad ammettere di dover cambiare metodo. Da qui la rottura nella maggioranza e la ricerca di una prospettiva diversa attraverso un nuovo Segretario che potesse rappresentare bene i riformisti e nello stesso tempo fosse in grado di parlare a quella sinistra che andava via via sempre più allontanandosi dal partito. Ecco perché la scelta di tanti Toscani e di tanti renziani toscani di sostenere Nicola Zingaretti per tornare a vincere in Italia e in Toscana.
Le proposte di Nicola Zingaretti rispondono a questa idea di partito, cercano di parlare a quei mondi che ci hanno lasciato puntando sui nostri valori, sui temi della solidarietà, dell'aiuto ai più deboli, dello sviluppo rispettoso dell'ambiente. La scommessa è rimettere al centro di nuovo la persona e i suoi sogni. Uomini e donne titolari di diritti inalienabili come sancisce la nostra Costituzione: il lavoro come perno, la dignità come obiettivo. E l'azione di governo che si fa strumento per il raggiungimento di quelle garanzie individuali e collettive che la Carta riconosce a tutti i cittadini. Tutto ciò mantenendo il DNA del nostro Paese, che deve tornare ad essere grande non solo economicamente, ma anche come promotore e punto di riferimento di quei principi di civiltà che abbiamo avuto il merito di elaborare nei secoli e che dobbiamo con forza riaffermare nel consesso internazionale, capovolgendo quel ruolo di paladini dell'inumanità e del regresso che vergognosamente ci sta ritagliando addosso il governo gialloverde.
Il partito che vogliamo, il Paese che sogniamo ha chiara una cosa: che il progresso deve riguardare tutti, nessuno escluso, e che di fronte alla dignità dell'uomo non c'è interesse che prevalga.
Questo era il Pd in cui ho creduto sin dall'inizio, e questo, ne sono certa, tornerà ad essere, grazie all'azione riformatrice che, con Nicola Zingaretti, tutti noi, comunità di uomini e donne che si riconoscono nei valori di uguaglianza, solidarietà e giustizia, porteremo avanti nel partito e nel Paese.