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Bisogno di cambiare. La forza della partecipazione popolare.

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Bisogno di cambiare. La forza della partecipazione popolare.

Dopo esserci impegnati nei congressi locali del Pd, riprendiamo le nostre riflessioni proprio a partire da questa esperienza. Abbiamo raccolto le valutazioni di alcuni protagonisti di realtà, diverse tra loro, del nostro Paese e ripreso una riflessione di Andrea Orlando di alcuni mesi fa, più che mai attuale e una sua, più recente, intervista. 

Procedure barocche, adempimenti da azzeccagarbugli, hanno limitato le energie e il potenziale dei militanti, provati da una sconfitta senza precedenti e da una gestione insensata della sconfitta medesima che, tuttavia, non ha cancellato la voglia di reagire. La politica aventiniana seguita dal Pd dopo la disfatta elettorale ha favorito la nascita di un governo nazionalista dannoso per l'Italia, per i giovani, i ceti popolari e il mondo del lavoro. Ha portato la Lega dal 17% del 4 marzo 2018 a raddoppiare i suoi consensi, secondo i giudizi di quasi tutti i sondaggi, dopo solo 7 mesi di governo. Non si ha memoria di esempi simili nella storia politica italiana ed europea. 

Perché procedure barocche? Nei congressi di circolo si dovevano fare le illustrazioni delle mozioni dei candidati a segretario nazionale. Sei. Quando non c'erano tutti  i rappresentanti delle mozioni, il garante leggeva il riassunto della mozione che non poteva contare sul relatore. In più di una circostanza, in questo secondo caso, si dava per letta. C'era la fretta di votare. Del resto, c'è la vita reale. Come pretendere, ad esempio, che dalle 12 alle 13 di domenica le persone si fermino ad ascoltare il dibattito? A quell'ora le famiglie, giustamente, si trovano magari a raccogliere a pranzo i propri cari, figli, nipoti, amici, che non vedono da giorni.

Fatti così i congressi perdono l'efficacia necessaria. Tanto valeva scegliere una domenica di consultazione straordinaria di tutti gli iscritti, per decidere i tre candidati più votati da sottoporre alle primarie nei  gazebo. Si, c'è davvero molto da cambiare.

Nonostante questi limiti, tuttavia, si è avvertito tra tanti iscritti il desiderio di partecipare, combattere, esprimere passione politica, ideali, competenze, valori, tutti, che costituiscono un bene prezioso non solo per il Pd e la sinistra, ma per la democrazia italiana. Certo sarebbe stato necessario scavare più a fondo per comprendere le ragioni della crisi della sinistra e dei democratici in Italia e in Europa. Capire come è cambiata la società, padroneggiando meglio i dati che dimostrano il dilagare delle disuguaglianze e l'insofferenza verso chi è stato percepito come èlite.

La Lega di Salvini, l'avvoltoio più rapace e infaticabile della politica italiana, ha fondato il suo crescente consenso, alimentando sistematicamente paure intorno ai grandi temi dell'immigrazione e della sicurezza. Imponendo il suo schema di gioco ad una opposizione rumorosamente subalterna. Di più. Puntando persino a diffondere un clima di odio. Non era mai accaduto, in questi termini, nella storia del più antico partito italiano. 

Il M5Stelle si è impadronito di temi, la lotta alla povertà e ai privilegi, da sempre al centro della missione politica della sinistra. 

Ma questi due partiti avrebbero avuto questo successo se nel nostro Paese non fossero cresciute in modo così intollerabile le disuguaglianze? Un dato. Dal 1998 al 2016 il reddito da lavoratore dipendente degli operai è diminuito del 2,7%, quello degli impiegati del 2,6%, mentre quello dei dirigenti è aumentato del 9,4%. L'invecchiamento della popolazione lavorativa e l'aumento della forbice nei salari hanno peggiorato le condizioni degli occupati. La diffusa precarietà ha colpito soprattutto i giovani. Bassi salari, bassa tecnologia, bassa produttività. Risultato: Italia fanalino di coda nella crescita.

Scarso spazio anche per la politica estera del nostro Paese. Le scelte dell'attuale Governo a favore di chi vuole picconare l'Europa, Trump e Putin, stanno già facendo pagare un prezzo salato all'Italia. Mai così isolata. Del tutto insufficiente è stato il confronto su come rilanciare occupazione qualificata per creare sviluppo sostenibile e benessere, con moderne politiche industriali. Peccato, perché nella mozione di Zingaretti l'idea di "un'economia giusta" indica una strategia per il futuro. Non basta capire successi ed errori degli ultimi anni, anche se va fatto con lucidità. Senza scomodare convinzioni federaliste, voglio sperare che tutti ritengano sia necessario declinare quella idea, ambiziosa e realistica, nei territori. Una sfida ineludibile per i futuri dirigenti del Pd che, mi auguro,  non debbano più ripararsi, con fantozziane fedeltà, dietro le circolari del leader o delle correnti, quasi sempre prive di radici nella società. Lealtà, unità,  coraggiosa assunzione di responsabilità,  devono procedere insieme. 

L'affermazione di Zingaretti tra gli iscritti è stata netta. Non era scontato. La spiegazione è semplice: c'è voglia di cambiamento.

Anche nella regione più popolosa e produttiva del Paese, la Lombardia, l'affermazione di Zingaretti è stata limpida, con il 42,75%. Martina, nella sua regione, ha avuto il 35,57% e Giachetti il 19,22%.

Il Pd in Lombardia ha il dovere, più di altri, di essere protagonista dell'attacco al cuore del nuovo sistema di potere. Non c'è più tempo da perdere. Salvini e la Casaleggio associati sono di Milano. Il modello Milano è importante, ma non è stato sufficiente per impedire la clamorosa vittoria della destra alle ultime elezioni regionali. Rifletterei, piuttosto, sul modello Expo. Un successo dovuto all'intesa fra Stato, Regione Lombardia, Città Metropolitana, Comune di Milano, e, anche se il termine è ambiguo, società civile. Del resto,  anche  nell'area Pedemontana il centrosinistra governa i capoluoghi di Varese, Lecco, Bergamo e Brescia. Perché, allora,  il 4 marzo 2018 Attilio Fontana ha battuto Giorgio Gori 49 a 29? E tra le liste il distacco è stato persino maggiore: 24 punti. Questa enorme domanda, tutta politica, nella prima fase del nostro congresso, è stata sostanzialmente ignorata. La Lombardia è stata protagonista nel Risorgimento, nella Resistenza, nel boom economico che, in pochi anni, ha contribuito a trasformare l'Italia da macerie del dopoguerra, in uno dei Paesi più industrializzati del mondo. Quando Di Maio sostiene che siamo alla vigilia di un nuovo boom economico, lavoratori e operatori economici lombardi non gli credono. Previsione lunare che fa il paio con quella del Premier Conte: il 2019 sarà un anno bellissimo. Quando Salvini attacca a testa bassa l'Europa, sorvola su un dato di fondo: la Germania è al primo posto delle nostre esportazioni, la Francia al secondo.  Anche se i cittadini, per ora, non ne sono convinti, il Ministro degli Interni sta danneggiando il nostro sistema produttivo, i nostri lavoratori, i risparmi delle famiglie. Le associazioni di categoria e i sindacati glielo hanno ricordato più volte, fin qui, senza successo. Strano, perché lui, in genere, sa ascoltare. Anche per questo è un avversario insidioso. Noi abbiamo l'obbligo di dare uno sbocco politico, invece, a quelle preoccupazioni. Nella proposta di Zingaretti non c'è la scorciatoia dell'uomo del destino che risolve tutto. C'è la consapevolezza che i temi della povertà, del lavoro, del potere d'acquisto, di un nuovo welfare, dell'ambiente,  sono indispensabili per ritrovare il senso più profondo della parola comunità. Una comunità  capace di dialogare con corpi intermedi, associazioni, personalità della cultura, di ascoltare con umiltà idee e competenze, spesso ignorate da incomprensibili supponenze. Le primarie del 3 marzo possono costituire una svolta per l'Italia. Devono essere una festa della partecipazione popolare, della democrazia, della libertà.  È bene vedere per tempo i germi autoritari che l'attuale sistema di potere sta iniettando nelle vene della nostra società. E sconfiggerli con un progetto che metta al centro le persone. Sono vaccinato dal culto della personalità. Non c'è dubbio, tuttavia e proprio per questo, che, tra i tre candidati alle primarie, Nicola Zingaretti è quello che ha dimostrato maggiore spessore internazionale, capacità di unire e di vincere. Gli iscritti l'hanno compreso perfettamente, ma la posta in gioco alle primarie è molto più alta: la SOPRAVVIVENZA del Pd, il rilancio di un campo progressista e democratico largo, alternativa credibile al governo nazionalpopulista.  Altro che manovre tattiche tra vecchi e nuovi capi corrente. Alle primarie del 3 marzo si vota sulla qualità della nostra democrazia. Sul ruolo dell'Italia e dell'Europa nelle sfide del futuro.

Pubblicato da : daniele marantelli, front

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