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Tutte le bugie sulla Russia

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( foto di Antonio Marín Segovia )

( foto di Antonio Marín Segovia )

Dall’inizio della crisi ucraina, l’estrema destra e l’estrema sinistra europea raccontano una Russia che non esiste. Tra crisi economica e sociale, corruzione e violazioni costanti dei diritti umani, Mosca è oggi un gigante dai piedi d'argilla e con un futuro incerto.
 

Quando atterri in un aeroporto russo, la prima sorpresa la trovi al negozio di souvenir. In bella vista e accanto a matrioske e samovar, scorrono una sfilza infinita di oggetti-ricordo con immagini e parole di Vladimir Putin. C’è un po’ di tutto: magliette di Putin a torso nudo a cavallo, tazze con il presidente in occhiali da sole e tuta mimetica, il calendario 2017 con le immagini di Putin in famiglia, a caccia, in chiesa, e perfino in conversazione con un’avvenente ragazza bionda (perché anche l’occhio vuole la sua parte). Più che un presidente, una pop-star internazionale. Più che un umile servitore dello stato, un divo.
 

Per quanto preoccupante sia la raffigurazione propagandistica di un uomo politico in un paese che si pretende democratico, preoccupano di più le dichiarazioni di chi, nella vecchia Europa, cavalca la disinformazione del Cremlino conferendo a Putin un’aura da brav’uomo. Come non dimenticare quando nel 2014, interrogato da Lucia Annunziata a In Mezz’ora, Matteo Salvini assicurò che avrebbe fatto «cambio tra Renzi e Putin domani mattina»? La prima vera groupie del Cremlino era apparsa tuttavia alcuni mesi prima quando, poco dopo l’inizio della crisi ucraina, Marine Le Pen definì Putin un patriota, un uomo che a cuore «la sovranità del suo popolo». Tralasciando le lodi reiterate e sperticate di Nigel Farage nei confronti dell’ex KGB, a colpire è anche la recente visita a Mosca di Frauke Petry, leader di Alternativa per la Germania e candidata in forte ascesa alle elezioni federali.
 

Di questa internazionale dell’estrema destra riunitasi attorno a Putin tanto si è scritto, raccontando intrecci politici e finanziari e ambigue donazioni di banche controllate dal Cremlino. Meno però si è parlato della crescente simpatia per Putin nella sinistra radicale europea. A inizio 2016, Jean-Luc Mélenchon, leader della coalizione del Front de Gauche, ha pubblicamente supportato l’intervento russo in Siria e assicurato che Putin sconfiggerà Daesh. Se Parigi piange, Berlino non ride. Die Linke, membro del Partito della Sinistra Europea, è da sempre favorevole a una partnership solida con Mosca. All’inizio della crisi ucraina, ha aspramente criticato il ricorso alle sanzioni e invocato il ritorno a un più proficuo business as usual. In un accorato intervento alla Bundestag, nel 2014 Sahra Wagenknecht, vice-presidente del partito, accusò Angela Merkel e i leader europei di condurre il mondo nel caos, dichiarando che «la pace e la sicurezza in Europa sono impossibili senza la Russia». Tornando in Italia, basti menzionare le dichiarazioni di Ferrero del 2014, secondo cui «USA e UE sono responsabili del disastro europeo in Ucraina», dimenticando che nell’annessione condotta in Crimea, la Russia ha violato due principi fondamentali del sistema internazionale stabilito al termine della seconda guerra mondiale: l’acquisizione territoriale mediante uso della forza e il diritto all’autodeterminazione.

Molto sappiamo di come Putin sia diventato la pop-star della politica internazionale a destra e a sinistra. Meno – sostanzialmente nulla – sappiamo delle ragioni per le quali il regime russo odierno non è come lo raccontano.


 

Che si descriva Putin come un patriota desideroso di riunire gli slavi sotto un’unica bandiera e/o di liberare la Russia (e l’Europa) dal giogo americano, in entrambi i casi si fa un pessimo servizio ai cittadini europei e russi, occultando le ragioni profonde che hanno trasformato un ex funzionario del KGB nel leader di un paese dalla politica estera aggressiva e imprevedibile.

Senza scomodare la mitologia russo-sovietica, i freddi numeri dicono che dal 2011 la Russia attraversa una crisi economica e sociale senza precedenti dall’avvento del suo zar. Come ho spiegato qui, la caduta dei prezzi del petrolio ha rimesso in discussione il modello di stabilità sfruttato positivamente dal Cremlino negli anni 2000, e basato su un semplice principio: a noi, elites, le risorse pubbliche e i dividendi; a voi, cittadini, il miglioramento delle condizioni economiche e sociali. Il Putinismo, in altre parole, è stato tutto in questo modello di separazione tacita e consensuale tra potere e popolazione. Date le caratteristiche del gigante russo, le cui entrate pubbliche sono per metà dipendenti dalla produzione e dalla vendita di petrolio e gas (il cui prezzo è a sua volta legato al paniere del petrolio), ogni calo dei prezzi è destinato a colpire duramente Mosca.
 

Nel timore di perdere quei diritti economici e sociali faticosamente conquistati, e nel desiderio di rafforzare i diritti civili e politici, nell’autunno 2011 Mosca conosce le più grandi proteste di massa dalla caduta dell’Unione Sovietica. Coloro che scendono in piazza domandano a gran voce maggiore trasparenza del processo elettorale, una stretta sulla corruzione asfissiante e soprattutto invocano il ritiro di Vladimir Putin dalla corsa a presidente nelle elezioni dell’anno successivo. I manifestanti perdono come previsto la loro sfida; ma più delle proteste odierne, il Cremlino teme azioni future su modello delle tanto odiate Rivoluzioni Colorate. In questa delicata fase che segna la terza presidenza di Putin, la svolta è segnata offrendo il mito di una nuova Russia, attore internazionale non più e non solo norm-breaker, ma anche e soprattutto norm-maker.
 

Nella nuova e vigorosa politica estera voluta da Putin, rientrano parte di quei meccanismi spesso definiti con l’espressione “hybrid warfare”. Non era sufficiente, agli occhi del Cremlino, la riforma militare operata all’indomani dell’operazione in Georgia del 2008; occorrevano anche strumenti economici, finanziari, mediatici e umanitari che sostituissero l’azione militare o la accompagnassero quando necessario: la propaganda al di fuori del paese, tramite network sotto controllo del Cremlino (ad esempio Russia Today e Sputnik); hacking a danno dei competitors; rafforzamento delle capacità dei gruppi simpatizzanti dell’est Europa.
 

Per offrire il sogno di una Russia imperiale e minare la credibilità delle opposizioni interne, Putin ha ulteriormente sacrificato la salute dell’economia russa, che dal marzo 2014 e complici il deprezzamento del petrolio, la carenza di tecnologie industriali all’avanguardia e lo scetticismo della comunità internazionale, ha conosciuto una costante svalutazione del rublo. A metà 2016, la divisa era stata svalutata di circa il 50% contro le principali monete dall’inizio della crisi. Benché negli ultimi mesi il rublo abbia recuperato terreno sui mercati internazionali, in assenza di riforme profonde che riducano la dipendenza dalle materie prime, la ripresa economica rimarrà lenta e in ogni caso fortemente influenzata dalle evoluzioni del contesto finanziario e politico. Non a caso, tra le aree di instabilità individuate recentemente restano sotto attenzione il mancato pagamento dei salari (oltre il 21% nell’Estremo Oriente russo) nonché l’incremento nel numero di proteste registrate. Un segno che, oggi come nel 2011, in assenza di correttivi seri alla mainmise operata dalle elites, la pazienza dei russi non sarà infinita.

 

Crisi economica, propaganda costante, corruzione, violazione dei diritti umani fondamentali, tensioni sociali, divide tecnologico. La Russia di oggi non è quella che l’estrema destra europea racconta narrando le vesti del patriota che tutti noi libererà. Né tantomeno quella descritta da Chruscev, in cui «per avere una casa tutto ciò che occorre è essere nato nell’Unione Sovietica» e ancor oggi utilizzata dall’estrema sinistra europea in funzione anti-americana. La Russia di oggi è un gigante rissoso e disubbidiente fuori, ma al suo interno fragile e a rischio di implosione. Ed è proprio per questo che nei prossimi anni l’UE e in particolare l’area socialista europea dovranno guardare con maggiore interesse a un attore chiave della regione, studiando una strategia coerente e a lungo termine, condannando senza esitazioni le violazioni del diritto internazionale compiute dalle élites ma intensificando il dialogo e la cooperazione con la società civile. Perché una nuova Russia è già lì.

 

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Pubblicato da : Domenico Valenza

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